Skip to main content

ANTIGONE

INTERPRETI

Fiorella Tommasini, Chiara Elisa Rossini, Diana Ferrantini, Katia Raguso, Mario Previato, Alessio Papa, Massimo Munaro

DRAMMATURGIA, MUSICA E REGIA

Massimo Munaro

PRODUZIONE

Teatro del Lemming, Biennale di Venezia

PRIMA RAPPRESENTAZIONE

Teatro Fondamenta Nuove - 40° Festival La Biennale Teatro di Venezia 7 marzo 2009

Creonte, reggente della città, ha ordinato di non dare sepoltura  ai traditori di Tebe, tra questi uno dei fratelli di Antigone: Polinice. La giovane non può accettare una simile violazione del diritto naturale. Così di notte, trasgredendo la legge,  seppellisce il corpo del fratello. Alla fine viene scoperta e condotta di fronte allo zio Creonte. Antigone non solo non si piega al volere di Creonte che invoca la legge, ma proclama ad alta voce il diritto alla disobbedienza quando la legge va contro i diritti inviolabili dell'essere vivente.
E’ così condannata ad essere sepolta viva, nonostante le proteste del figlio,  Emone, fidanzato della fanciulla. La volontà di Creonte finisce così per affermarsi. Ma la morte di Antigone è contestuale alla terribile sventura che si abbatte su Creonte che vedrà morire, a causa sua, il figlio e la moglie. 

Per centinaia di secoli, da Sofocle a noi, il mito di Antigone è stato riscritto, ripensato, riletto in infiniti modi. Così riappare ancora, indissolubilmente legato alla giovane eroina, anche il suo oppositore: Creonte. Da una parte una fanciulla sola con tutto il peso di un’umanità da proteggere ad ogni costo; dall’altra un uomo che porta il peso di una legge che va rispettata, ancora una volta, costi quel che costi. Quando due fondamentalismi si scontrano e non si piegano, si annientano. 
Eppure nella cultura della Grecia classica tutti avevano le loro ragioni,  sia i barbari sia i greci, sia Antigone sia Creonte. Questa possibilità di contenere gli opposti, di proporsi come linea di confine, divisoria e insieme di contatto fra le civiltà, è proprio la caratteristica principale del Mediterraneo. Esso si offre, infatti, come un pluriverso che non si lascia ridurre a un solo verso, e  il cui valore sta proprio in questa irriducibile molteplicità di voci, nessuna delle quali può soffocare l'altra: pena, come nella tragedia di Antigone, la catastrofe per tutti. Perché i fondamentalismi sono sempre più di uno, anche se è comodo pensare, come ci ha ricordato Franco Cassano, “che oggi essi ruotino attorno ad una sola forma, quella del turbante e dei martiri suicidi. Ma che cosa è invece il fondamentalismo se non la pretesa di esportare i propri principi annullando la differenza dell'altro? “
La superficie blu del Mediterraneo riflette ancor oggi le loro figure: rivelandoci il viso dell'altro esso ci rivela che questo viso non differisce dal nostro.

Se c’è una cosa che del teatro dei Greci sembra del tutto scomparsa, insieme al suo spirito profondo, è la funzione centrale del Coro. Per i Greci il coro in scena era l’esatto specchio della polis che abbracciava l’evento. La sua scomparsa mette in evidenza la distanza che separa, in modo sempre più abissale, la scena da noi. Nel mondo globalizzato nel quale viviamo non c’è alcun posto per un sentire comunitario. Perciò affidare il ruolo del coro direttamente agli spettatori implica rivendicare la possibilità del teatro di porsi oggi come forma attiva di resistenza, riaffermando la sua funzione di specchio critico del mondo e insieme luogo di una sua possibile trasformazione.
In questo lavoro per una volta ci troviamo dall’inizio indotti a scegliere con chi schierarci e ad assumerci il peso, tragico, di una responsabilità. Ci  dividiamo in due gruppi: chi sceglie di seguire la straniera sul palco, disubbidendo come Antigone alla legge, è direttamente coinvolto nell’azione; chi resta seduto dalla parte di Creonte, la maggioranza, può solo guardare. Questa scelta dà luogo a due diverse modalità e concezioni teatrali.
E’ possibile infatti immaginare una modalità teatrale per Antigone diversa da quella di Creonte.
Il teatro di Creonte è il teatro che impone una distanza dello sguardo. E’ il teatro delle regole, che pure anche a teatro devono esistere, ma anche delle norme e dei divieti: della legge 81/2008, dei palcoscenici all’italiana, della architetture che impongono di per sé ciò che è possibile e ciò che non si può fare. Agli occhi di Antigone questo teatro apparirebbe oggi ridotto alla narrazione o al museo. Un teatro dove ogni funzione critica è assente. Un teatro degli stabili, delle circolari, degli scambi. 
Quale teatro potrebbe opporre Antigone oggi? Il teatro di Antigone, se esistesse, farebbe appello a quel senso originario che fa del teatro il luogo di passioni estreme, tattili. Un teatro della prossimità, che reinventa lo spazio scenico e la relazione diretta e affettiva con gli spettatori. Il linguaggio di questo teatro sarebbe simile a quello del cuore, incomprensibile alla ragione, eppure di una forza tellurica ed immediata. Un teatro che sovverte tutti i divieti, che cambia le regole, che elude le abitudini. Un teatro del genere apparirebbe agli occhi di Creonte tanto radicale quanto certamente settario. 
Nel nostro lavoro queste due modalità sono poste dialetticamente a confronto l’una contro l’altra, quasi come due spettacoli che scorrono paralleli. Gli spettatori che scelgono Antigone vivono cose che il popolo di Creonte non può vivere, ma anche chi resta seduto dalla parte di Creonte coglie diversamente e con più lucidità le cose che accadono. Si tratta di  due punti di vista che, come nella tragedia, restano irriducibili, e che pure si stagliano, anche qui, soltanto come due facce di una stessa medaglia. 
La tragedia si conclude con una simmetria spaventosa: a Creonte, che ha rifiutato la sepoltura di Polinice, viene negato l’accesso alla casa dei morti, e così al suo coro, che non ha voluto partecipare ma soltanto “vedere”, viene negata la possibilità dello sguardo. 
Resta l’enigma per cui l’azione “maledetta”  di Antigone sembra incarnare le aspirazioni etiche dell’umanità, mentre il legalismo di Creonte provoca devastazione. Ma se l’enigma è essenza del tragico, dare vita ad un enigma non vuol dire risolverlo. 

Il debutto dell’Opera è avvenuto alla Biennale Teatro di Venezia nel marzo 2009.